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Friday, May 18, 2012

se (e a chi) conviene offrire spazi pubblici per la creatività.

I recenti eventi a Milano di Macao e dell' occupazione della torre Galfa mi hanno fatto riflettere sull' importanza della creatività, sul ruolo delle risorse pubbliche da destinarsi e su come allocarle.

La creatività, definita pure nel mondo più ampio e blando possibile,  è uno dei motori dello sviluppo urbano. Lo è in primo luogo perchè da un' atmosfera urbana creativa possono nascere realtà industriali importanti. Per esempio, Milano non è diventata capitale del design da un giorno all' altro, ma dopo un processo storico che ha visto allearsi nel tempo piccoli imprenditori, artisti e soprattutto artigiani creativi in un vivace e caotico fermento. Da questo caotico processo sono nate grandi imprese di successo, grandi marchi della moda e del design industriale, ma non solo. Le esperienze che non hanno dato luogo a imprese stabili nel tempo hanno tuttavia svolto un ruolo cruciale. Infatti quest' ultime si possono vedere come i necesari  tentativi non riusciti di creare qualcosa di nuovo: la generazione del nuovo non è mai frutto di un processo deterministico, quanto il risultato di molteplici tentativi, la maggior parte dei quali rimane un' idea fallimentare. Per esempio Henry Ford ha avuto successo con la sua Ford T dopo averci provato con altri 20 modelli precedenti (A, B, C...).

Inoltre un' atmosfera creativa ha ricadute positvie sull' immagine della città: essa rende la città figa, favorisce ogni impresa che si sviluppa nell' area e che  può essere collegata all' idea che il mondo esterno ha della città. Ad esempio il successo planetario del Campari è intimamente legato a Milano come città creativa dai tempi delle campagne pubblicitarie disegnate dai gruppi del Futurismo, fino ai manifesti degli anni '60 disegnati da Bruno Munari, che era proprio un designer. La celebre bottiglia del Campari Soda è  di Depero, allievo di Balla.

Infine, l' atmosfera creativa aiuta ad attirare persone di talento in ogni campo. Ingegneri, banchieri, ricercatori, personale altamente qualificato sono piu predisposti a muoversi in città che offrono determinati stili di vita e consumo.

La creatività ha bisogno di spazio a basso costo. La creatività, da quella dell'artista a quella di un nuovo imprenditore ha bisogno di spazi per essere prodotta e per potersi manifestare agli altri. Non è un caso che la Berlino degli anni '90 sia diventata un immenso laboratorio culturale. I numerosi spazi dentro la città non ristrutturati e disponibili a basso costo sono stati occupati da numerose attività artistiche ed artigianali, che non avrebbero potuto aprire in nessun altro luogo. Si sa, i creativi, all' inizio della loro avventura, sono sempre squattrinati.

Ed invece a Milano c'è poco spazio e quello che c'è costa tanto. Se si vuole spazio bisogna garantire un rendimento per remunerare l' investimento e non ci si può quindi permettere il processo creativo di tentativi e fallimenti. Non ci si può permettere, in altre parole, di dare tempo alle idee di mettersi alla prova, fallire e migliorarsi.

L' esperienza creativa milanese, senza aiuti pubblici, è quindi destinata a morire vittima del costo dello spazio in una società gentrificata di ex-creativi. Il governo della città sembra desideroso di impegnarsi nel sostegno della creatività ed è un bene. Tuttavia si pongono numerosi problemi di allocazione di risorse.

Per esempio, la volontà di assegnare spazi al gruppo di Macao, ha sollevato mugugni. Ad alcuni infatti il gruppo macao sembra come la continuazione 2.0 dell' eterno movimento  68ino italiano, ovvero un gruppo di potere ben assestato, non certo un nuovo laboaratorio squattrinato bisognoso di spazi. A milano esistono molte altre realtà creative, magari meno organizzate. Per sempio nuovi imprenditori, artigiani creativi, movimenti di idee.

L' amministrazione ha l' arduo compito ora di trovare spazi e di assegnarli senza favorire nessuna realtà sulle altre e senza metterle l' una contro le altre. SOPRATTUTTO deve astenersi dal giudicare i progetti nel merito perchè il vecchio non può capire il nuovo. Ma sicuramente deve valutarne la serietà dei metodi e dell' impegno e pretendere che in qualche modo il lavoro dei creativi sia poi messo a disposzione della collettività.


Tuesday, May 15, 2012

Chi genera nuove idee?

Attento osservatore del nascente capitalismo mitteleuropeo, Josef Alois Schumpeter descrive nel libro "Teoria dello Sviluppo Economico" il ruolo dell' imprenditore. Schumpeter conosceva bene Nietzsche e la descrizione dell' imprenditore ricorda quella del Superuomo. L' imprenditore con la sua forza creativa riesce ad imporre il nuovo e sovrastare le forze inerziali esistenti che a questo si oppongono. Più avanti con l'età, rifugiatosi ad Harvard durante gli anni del nazismo, Schumpeter osserva il grande capitalismo oligopolista statunitense. Lì, secondo Schumpeter, sono i grandi investimenti nei laboratori di ricerca e sviluppo delle multinazionali che generano innovazione. Insomma l'innovazione da atto di potenza del singolo, non prevedibile, estemporaneo si trasforma in processo sociale statisticamente prevedibile e organizzabile.
Schumpeter ha individuato due meccanismi di generazione dell' innovazione. Il suo errore è stato di credere che fossero due momenti nel ciclo di sviluppo di un paese e che al primo seguisse sempre il secondo.
Oggi sappiamo  che entrambi sono necessari. Soprattutto la forza dirompente, fuori dagli schemi logici del pensare comune, può facilmente arrivare da piccole imprese e anche dal singolo imprenditore.

Ogni società che in vari modi vanifica, ostacola l' attività creativa del singolo rinuncia ad una importante fonte di rinnovamento. La società che aiuta , che designa spazi virtuali e fisici, che mette a disposizione risorse per la sperimentazione è lungimirante.

Ma questo vale solo per l' innovazione tecnologica o anche per le idee?

Mi sono immaginato i grandi  portatori e generatori di idee e di interessi come i  partiti, i sindacati, i gruppi di potere economico, sociale e politico. Dall' altra parte vedo  l'esperienza del singolo o di piccoli gruppi che a volte riescono ad imporre idee dirompenti.

Una società ha bisogno di entrambi gli attori. Ultimamente pare che i primi siano in crisi. Forse si potrebbe provare con più spazio ai secondi. Quindi, forse, se c'è un palazzone vuoto, meglio lasciarlo ad una nuova esperienza creativa...


oggi sono ortodosso

Se si è contro l' ortodossia bisogna anche condividere cosa dice l'ortodossia quando si è d'accordo.
 ed io oggi sono d'accordo con Boldrin. non capita spesso.
 Riporto l'articolo che si trova qui:
http://www.linkiesta.it/euro-germania-austerity-critiche#ixzz1uw9g6fXa

Ne approfitto anche per consigliare un'assidua lettura di linkiesta e, se vi paice, anche una donazione!

Basta criticare la Merkel, i tedeschi con l’euro ci hanno solo perso

Michele Boldrin

Dall’introduzione dell’euro, la Germania ci ha guadagnato ben poco, al contrario di quasi tutti gli altri Paesi. I quali, dalla metà degli anni ’90 sino al 2007, grazie all’ancora tedesca, videro abbassarsi rapidamente i tassi d’interesse reali sul loro debito. Ora si dà alla Merkel la colpa dell’austerity, ma è l’Italia che ha aumentato la spesa pubblica fino a bruciare l’indebito vantaggio che aveva.

Appartengo a quella sempre più sparuta minoranza che ritiene un gravissimo errore sia attribuire la responsabilità della crisi del debito sovrano europeo alla creazione dell’Euro, sia incolpare la politica economica tedesca per le situazioni di difficoltà in cui svariati paesi europei, quelli mediterranei in particolare, si son venuti a trovare negli ultimi anni. L’imbarazzante tarantolata collettiva in corso sulla stampa nazionale (alla quale questo giornale non ha purtroppo ritenuto opportuno sottrarsi) sembra voler esorcizzare il male, attribuendolo alla strega teutonica e ad una serie di patetiche balle storiche, invece di riconoscerne le cause endogene documentate da fatti e statistiche.

Mano a mano che la situazione economica si deteriorava e la serietà delle misure necessarie ad affrontarla diventava palese, all’eterna e monomaniacale campagna inglese contro l’Euro (non dovesse mai Frankfurt poter concorrere con la City of London) si sono aggiunti il lamento greco, l’invettiva italiana, la maledizione spagnola e lo scherno francese. È da un secolo che tutto il male, in Europa, viene da Berlino: perché mai dovrebbe questa essere un’eccezione? Non so se sia un’eccezione (anche perché dubito che la precedente sia una regola) ma so che i fatti suggeriscono che le responsabilità andrebbero distribuite con maggiore cautela.

L’Euro ha tanti genitori ma quelli originali non sono di certo tedeschi, quanto piuttosto francesi ed italiani. Dall’introduzione dell’Euro, per se, la Germania ci guadagnò ben poco mentre ci guadagnarono, dalla metà degli anni ’90 sino al 2007, gli altri paesi i quali, grazie all’ancora tedesca, videro abbassarsi rapidamente i tassi d’interesse reali sul loro debito. Per un paese come l’Italia questo “regalino tedesco” è stato equivalente a 4 o 5 punti di PIL all’anno per circa dodici anni: fa circa metà (esatto: METÀ) del nostro debito pubblico in essere! Se l’abbiamo sprecato aumentando la spesa primaria dobbiamo ringraziare solo noi stessi.

Sino al 2005 circa la Germania fa peggio della media e solo leggermente, ma proprio leggermente, meglio dell’Italia che è il fanalino di coda della zona Euro praticamente da vent’anni. È solo dopo che la coalizione Schroeder-Merkel addotta, sette anni fa circa, una serie di drastiche riforme strutturali che l’economia tedesca ricomincia a crescere, la disoccupazione a calare e l’export a tirare. Non c’entra dunque nulla l’Euro (che c’era di fatto da una decade) anche perché tutti insistono che sia sopravalutato ed una sua svalutazione altro non farebbe che rendere ancor più competitive Audi e BMW! C’entra il fatto che le riforme le han fatte invece di creare commissioni sulla spesa pubblica da cui nascono commissioni per la spending review che producono un commissario che chiede consigli su come tagliare la spesa pubblica … Ma non distraiamoci, continuiamo. Sino a circa la stessa data la bilancia commerciale fra, tanto per dire, Italia e Germania è in equilibrio o in attivo. Sì, proprio così: vendavamo di più noi a loro che loro a noi. Incredibile la differenza che qualche riforma strutturale può fare rispetto alle chiacchere patriottiche, vero? Andiamo avanti: cosa è successo dopo che i tedeschi hanno fatto i loro doveri? Beh, è successo che gli altri han continuato a non farli, questo è successo. È colpa di Angela Merkel se TreniItalia è l’orrore che è mentre DeutscheBahn no? Davvero han deciso i tedeschi di mettere Rodrigo Rato, un politicante incompetente, a gestire Bankia?

Ah, i fatti, i maledetti fatti. Molto meglio retorica come questa per vendere un po’ di mediterranea pseudo-cultura a fronte della fredda austerità teutonica. Cosa c’entra Weimar con la situazione greca se non perché, essendo quello di Weimar un fallimento tedesco, esso permette facili quanto inutili analogie? La Grecia non ha avuto l’appoggio della UE? Avete presente la quantità di soldi che gli elleni hanno ricevuto e come li hanno spesi? Che senso ha dire parole in libertà su temi che non si conoscono? In questo momento la Bundesbank è esposta per circa 700 miliardi di Euro con il resto del sistema creditizio europeo e sta finanziando da sola l’intero continente.

Da trent’anni il governo tedesco fa la parte dell’asino, al ritmo di quasi un punto percentuale del proprio PIL all’anno, nel finanziare i fondi strutturali ed agricoli europei (quelli di cui la Grecia ed il nostro Meridione han fatto scempio) mentre fa la parte del mulo, al ritmo di altri 300 miliardi di Euro, nel finanziare i vari fondi di stabilità creati dopo il 2009. L’austerità teutonica sara vuota, come sostiene un buontempone mediterraneo, ma riempie il salvadanaio che paga gli sprechi siciliani, le ruberie romane, le follie ateniesi e le sieste sevillane. In questo consisterebbero la leadership europea e la “supremazia della politica”? Un po’ come spiegare ad uno sugar-daddy che nel pagare a prestazione la meretrice sta l’essenza del grande seduttore …

Siamo all’orgia della malafede, ma siamo in ottima compagnia. L’ultima geniale idea di cui si discute sia al FMI che a Parigi è la seguente: i tedeschi dovrebbero, per decreto governativo, aumentarsi gli stipendi (ed i prezzi) di un 6% circa. In questa maniera aumenterebbe la domanda e tutti potremmo produrre di più, loro inclusi … Ah, vero: perché la domanda aumenti occorre aumentare solo i salari e non i prezzi, giusto. Ah, vero di nuovo: così facendo aumentano i costi delle aziende tedesche che inizieranno a fare perdite. Beh, meglio: qualche azienda tedesca chiuderà e qualche centinaia di migliaia di lavoratori tedeschi perderà il proprio lavoro ma, secondo i teorici di questa bestiale versione del modello superfisso, le perdite di competitività ed occupazione tedesca causeranno analoghi guadagni greci, spagnoli o italiani. Se non bastasse il 6% quest’anno chiederemo loro un altro 8% l’anno dopo: prima o poi anche la loro economia andrà in malora ed allora le nostre risorgeranno! Si chiama leadership continentale, altro che la vuota austerità secondo cui chi non lavora non mangia. L’ha detto Paul Krugman, che ha il Nobel, quindi dev’essere vero. Che anche Paul Krugman abbia fatto il classico?

Friday, May 4, 2012

Giavazzi e gli insider

La recente nomina di Giavazzi come tecnico del governo tecnico, mi ha fatto tornare in mente una lezione di tanti anni or sono di politica economica tenuta proprio dal Giavazzi. In vero fu una delle sue performance peggiori in quanto non si era preparato, ma questa è un' altra storia.

La storia è calzante per spiegare come l' economia dominante si spacci per scienza, come gli economisti si ritengano tecnici super partes, ma come in realtà non sia così.

Sostiene Giavazzi che una delle cause dell'alta disoccupazione è la presenza di un mercato del lavoro duale. Ovvero da una parte ci sono i lavoratori a tempo indeterminato (gli insider) con benefit e salari garantiti e dall' altra disoccupati o sotto-occupati (gli outsider). Gli insider, attraverso le organizzazioni sindacali, erigono barriere di difesa che  garantiscono loro l' impossibilità di essere licenziati senza giusta causa e di godere a vita di buoni salari. Gli outsider, che pur di lavorare sarebbero disposti ad accettare un salario più basso, non possono essere quindi assunti. Ma quindi il liberismo è di sinistra? Se rimuovissimo ogni barriera all' uscita, la competizione al ribasso sui salari tra i lavoratori permetterebbe alle imprese di pagare meno il lavoro, assumere le persone più produttive e quindi, meritevoli, potrebbero persino assumere di più e alla fine tutti  lavorarebbero guadagnando quanto si meritano e ponendo fine a questa lotta intestina che, data la disoccupazione giovanile, sta prendendo connotati di scontro generazionale.

Anni or sono, agli albori della società industriale, Carlo Marx osservava un mondo con un mercato del lavoro completamente flessibile. Anche in questo mondo esistevano i disoccupati, che Marx chiama esercito industriale di riserva e la cui funzione è quella di mantenere bassi i salari: la minaccia di una facile sostituzione del lavoro tiene a bada ogni tipo di rivendicazione. Le garanzie del lavoro degli occupati sono quindi una condizione necessaria del lavoro per poter avere del potere contrattuale. Sostiene - in verità osserva - Marx, che la disoccupazione è una caratteristica intrinseca del sistema capitalistico ed anche un sistema perfettamente flessibile ha il suo esercito industriale di riserva o outsider che dir si voglia.

Tralasciando una serie di altre considerazioni di Giavazzi che sono sacrosante: un imprenditore ha il diritto ad avere un lavoratore per un periodo di prova, anche lungo, prima di assumerlo a vita. Voi vi sposereste sulla base di un colloquio?  Chi colpevolemnte non lavora e lavora male deve poter essere licenziato. Voi non divorziereste dopo anni di matrimonio bianco? e tralasciando anche una serie di posizioni molto discutibili del  Marx politico come l' idea che il capitalista imprenditore sia  sempre lo sfruttatore.  In Italia, i piccoli imprenditori sono spessi eroi che vanno avanti nonostante tutto.

Tralasciando tutto questo, Giavazzi sbaglia. Più flessibilità non  aiuta i lavoratori in nessun modo. Una discussione tecnica si trova per esempio qui.  Più flessibilità aumenta la produttività perchè riduce i salari.Anche se nessuno ce lo dice il problema non è tecnico, ma politico. Marx lo ammetteva, Giavazzi no.

Infatti nella divisione dei profitti tra lavoro e capitale, più flessibilità significa meno soldi per il lavoro e più per il capitale.Se crediamo che in un momento di crisi sia giusto spostare più risorse sul capitale per permettere investimenti, aumentare la produttività, rilanciare la crescita e creare (in futuro e forse) più occupazione, facciamolo. Ma non raccontiamo la storia degli insider cattivi e degli outsider buoni!

 PS: entrambe le teorie sono macroeconomiche e non mi piacciono. Considerano il lavoro come un fattore di produzione. Da Penrose in avanti, alcuni economisti hanno iniziato a considerare i lavoratori come una risorsa. Non a caso Penrose era donna.




Thursday, May 3, 2012

L' alternanza delle idee

[post liberamente ispirato dalla discussione a pranzo con i colleghi]

Nei momenti di crisi si mischiano le carte in tavola, si dubita delle certezze assodate, c'è spazio per strade alternative. Anche quelle non necessariamente amate dalla teoria dominante. Ma a differenza delle altre scienze, in economia, una teoria non è dominante, se non lo è anche politicamente. Non è un caso che la teoria economica marginalista di Jevons, Walras e Menger abbia avuto successo per fornire argomenti scientifici ai detrattori del marxismo, che pure si poneva in modo scientifico. Non è un caso che la scuola economica neoliberista sia diventata dominante con Reagan e la Tachter e non certo per l' originalità delle idee, considerato che von Hayek il Nobel lo aveva già vinto nel 1974.

Un pensiero economico e politico dominante si instaura come risposta allo spirito del tempo, ai bisogni espressi dalla società dati i suoi equilibri, ma poi tende a perpetuarsi indipendentemente. Solo un'idea forte che risponde meglio al mutato spirito del tempo e si organizza in modo efficace può scalzarlo. Società anchilosate nei vecchi paradigmi non possono che decadere. In questo momento è chiaro che l' idea politica ed economica dominante non risponde più alle esigenze del tempo. Forse si intravede un' alternativa. Sicuramente il potere si appresta a difendere la cittadella.

I cardini del pensiero neoliberista di politica economica  in situazioni di crisi rifuggono sia dall'utilizzo della leva monetaria e sia da quella di aumento della spesa pubblica. La strada maestra da seguire è quella della politica deflazionistica e tagli alla spesa: in una parola l' austerity. L' austerity non è un concetto economico, ma uno filosofico e si riferisce alla necessità di cupi anni di recessione in cui purificare calvinisticamente l' anima e ritornare alla crescita. Ringraziamo  il popolo greco per averci mostrato sulla propria pelle con un esperimento naturale come in questa crisi l' austerity sia la soluzione sbagliata.

Tuttavia e per fortuna, in democrazia, gli spiriti irrazionali dei cittadini potrebbero rincorrrere qualche sincera e coraggiosa voce alternativa oppure anche le sirene del populismo demagogico e dei naziolismi. Per difendersi da entrambi, il potere dominante ha sottratto sia gli strumenti di politica monetaria che quelli di politica fiscale al controllo parlamentare. Attreverso l' euro, il controllo della base monetaria e dei tassi di interesse è in mano alla BCE. Da poche settimane il pareggio di bilancio è diventata legge costituzionale  e lega quindi le mani anche ai governi futuri.

Se da una parte la costituzione della moneta unica aveva ed ha fini nobili di traino delle istituzioni europee, non si capisce perchè una nazione dovrebbe autolimitarsi nella possibilità di produrre disavanzi di bilanci quando fosse possibile e necessario.O meglio non si capisce perchè questo legge sia stata votata quasi all' unanimità...

A questo governo  e a quelli futuri non rimane che la strada del taglio delle spese e delle liberalizzazioni. Storicamente in Italia di liberalizzazioni non se ne sono mai fatte. Einaudi sosteneva che è difficile rimuovere dei privilegi una volta che sono stati concessi. Rimane il taglio della spesa per lavori dipendenti, il taglio dei finanziamenti agli ospedali, all' università a tutte le produzioni di beni pubblici. Vuol dire taglio dei consumi e vuol buttarsi a capofitto nella spirale recessiva per i prossimi anni. Recessione non è una parola astratta. Essa significa disoccupazione, non arrivare a fine mese,  mettere al mondo meno figli, rimandare le cure e la prevenzione, rinunciare agli studi per portare soldi a casa, chiedere aiuto all' usura, essere più proni alle tentazioni della criminalità.

Spero di sbagliarmi, ma in un momento di crisi europea e sistemica, una recessione non potrà che essere lunga. Attrezziamoci e magari iniziamo a pensare a qualche alternativa...