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Thursday, October 11, 2012

Luigi Einaudi


Non sono riuscito a scoprire se Einaudi abbia mai veramente scritto un decalogo. Non me lo vedo come liberale  a ridigere decaloghi bibblici. Tuttavia è un buon sunto di una parte del suo pensiero!

1) IL METODO: CONOSCERE PER DELIBERARE
2) IL FEDERALISMO
3) IL SISTEMA UNINOMINALE
4) LA MACCHINA FISCALE "SEMPLICE. ADEGUATA AI SUOI FINI, LAVORANTE SENZA ATTRITI, CON    OSSEQUIO RIGIDO ALLA GIUSTIZIA"
5) LA TASSA DI SUCCESSIONE PER GARANTIRE L'UGUAGLIUANZA DEI PUNTI DI PARTENZA
6) L'IMPEGNO CONTRO I MONOPOLI
7) L'ELIMINAZIONE DEL VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO
8) LA GUERRA AL PROTEZIONISMO
9) L'ABOLIZIONE DELL'ORDINE DEI GIORNALISTI
10)LA TUTELA DEL PAESAGGIO

ps: tra i vari posti dove l' ho trovato, l ho copiato da qui.

Wednesday, October 10, 2012

La nuova necessaria manovra di Monti.

Vi siete accorti che si è varata una nuova fiananziaria?

La nuova manovra del governo Monti che colpisce i soli noti e che acuirà la crisi è necessaria e rappresenta il necessario pessimo risultato delle politica economica del governo in carica. Specificatamente emerge l' inadeguatezza della fase 2 Cresci Italia ed anche sull' equità si sta facendo poco.

Il governo Monti viene eletto per sistemare i conti in Italia. Infatti con la situazione di ormai 12 mesi or sono non sarebbe più stato possibile rifinanziare il debito. L' agenda Monti, secondo le sue stesse parole, doveva poggiare su due pilastri: rigore e crescita.

Non bisogna essere studenti di economia per sapere che per ripagare un debito ed i suoi interessi bisogna risparmiare o guadagnare di più. L' economia però ci insegna che in un paese risparmio e crescita sono intrinsecamente legati tra di loro. Anzi ce lo insegna una certa corrente economica...ma questa è un'altra storia.

Nei fatti il necessario risparmio in tempi brevissimi è potuto avvenire dove era più facile ovvero salari degli statali, pensioni, sanità, istruzione, ricerca e aumento dell' imposta sui consumi. Però, ci fu detto,  il cosiddetto decreto Salva Italia doveva essere propedeutico ad un decreto Cresci Italia  basato sulla crescita.

Esistono diverse  politiche per rilanciare la crescita: si possono incentivare i consumi per creare una domanda aggregata e quindi incentivi alle imprese per produrre. Si posso incentivare le imprese attraverso riduzioni fiscali e sussidi. Si può investire in infrastrutture per migliorare la produttività e sostenere i consumi. Si possono rimuovere le barriere inutili che soffocano l' imprenditorialità e l' impresa*.
Le politiche di sostegno alla domanda, sussidi alle imprese e creazioni di nuove infrastrutture erano ovviamente precluse al governo Monti, perchè avrebbero implicato ulteriori spese. Ma le seconde?  Monti non ci aveva promesso che avrebbe inciso su quelle sacche di  potere di mercato che incidono sulle famiglie molto più di qualche punto d' IVA? Le tariffe di poste, telecomunicazioni, servizi bancari e assicurativi, cure mediche private, trasporti, servizi legali, tassisti, raccolta rifiuti, acqua, energia sono TUTTE a dei livelli più alti di quelle in comparabili paesi europei. Una seria riforma delle rendite di posizione in tutti questi settori avrebbe più che compensato gli aumenti di tasse sui soli dipendenti.

Ed è con questo spirito, credo, che la manovra Salvaitalia è stata accettata senza scioperi, cortei , manifestazioni come in Grecia o Spagna. Ci siamo fidati.P oi sono passati i mesi. Il decreto Cresci Italia si è impantanato e poi diluito nelle paludi parlamentari e, aldilà di poche misure, non è stato per nulla incisivo. Ora arriva la nuova manovra: 11 miliardi di tagli agli statali, alla sanità, ulteriori vincoli ai già disastrati budget universitari.

Questa è di nuovo una manovra necessaria. Una economia che risparmia e non cresce  finisce per alimentare la propria recessione. Le previsioni per il 2013 non sono rosee proprio a causa della manovra del gennaio scorso, non corretta da adeguati incentivi alla crescita.  La differenza è che i soliti noti sono stremati e non si fidano più. Prevedo scintille e tanti voti a Vendola e Grillo. E rinascita Lega nord....





*Inutili non vuol dire che sono tutti inutili, vuol dire che bisogna rimuovere quelle inutili.

Tuesday, October 2, 2012

Punk economics

You know that something is wrong when the pope is German and the president of the European Central Bank is Italian: some punk economics! Enjoy it!

In alcuni post precedenti ho criticato le posizioni di chi vedeva nelle scelte tedesche i prodromi della crisi. Mi associo invece alle stesse persone nel vedere la responsabilità tedesca nel non uscire dalla crisi. Il perchè in modo semplice, ma avvincente è spiegato qui:

http://www.youtube.com/watch?v=oAR0VRLRGHE

Wednesday, September 26, 2012

Giavazzi e Alesina ed il sistema sanitario nazionale.

In un recente articolo comparso QUI Giavazzi ed Alesina sostengono che non è efficiente finanziare la sanità con le imposte dirette, ma conviene abbassare le tasse e far pagare le prestazioni.

Riporto il paragrafo centrale:


"Per esempio, non è possibile fornire servizi sanitari gratuiti a tutti senza distinzione di reddito. Che senso ha tassare metà del reddito delle fasce più alte per poi restituire loro servizi gratuiti? Meglio che li paghino e contemporaneamente che le loro aliquote vengano ridotte. Aliquote alte scoraggiano il lavoro e l'investimento. Invece, se anziché essere tassato con un'aliquota del 50% dovessi pagare un premio assicurativo a una compagnia privata, lavorerei di più per non rischiare di mancare le rate."

I due economisti commettono almeno due errori:

Il primo errore, diciamo materiale,  è che i servizi non sono gratuiti ma sono pagati attraverso la tassazione che è progressiva come richiesto dalla costituzione italiana (art. 53). I premi delle assicurazioni private invece non sono progressivi,  ma sono uguali per tutti.

Il secondo errore è ancora più grave. Un sistema duale pubblico/privato porta ad un aumento dei costi per lo stato, come del resto mostrano le statistiche sul costo della sanità in altri paesi. Per un approfondimento si legga qui.  Il motivo è il seguente. Il sistema sanitario si configura come un' assicurazione o, se si preferisce, come una scommessa sulla propria salute. Si gioca un premio fisso mensile e, se ci si ammala, si ottengono cure gratuite. Per un' assicurazione l'ammontare del premio è tale per cui la somma di tutti i premi è maggiore delle cure che deve rimborsare.  Se un' assicurazione ha tanti assicurati e conosce la distribuzione di probabilità delle malattie, i conti si possono fare in modo molto preciso.

In un sistema duale, dove la spesa sanitaria si paga tramite assicurazione privata succedono le seguenti cose:

1. Un' assicurazione vorrà attrarre assicurati giovani e sani, incentivandoli ad esempio con  sistemi di bonus / malus o franchigia.
2. L' assicurazione attrarrà poi comunque le fasce di reddito più alte della popolazione che comunque già rifuggono dal sistema pubblico.
2. Le assicurazioni non avranno incentivo ad assicurare malattie rare o che necessitano di cure troppo costose.
3. Le assicurazioni non avranno incentivo a investire sulle fasce deboli di salute o far pagare loro premi spropositati.
4. Il servizio pubblico continuerà ad esistere come categoria residuale, cioè per coprire quei casi che non sono remunerativi.
5. Il servizio pubblico sarà finanziato solo dalle fasce più povere della popolazione e per curare le malattie più rare e gravi.
6. Il servizio pubblico sarà in deficit ed avrà bisogno di più risorse dalla tassazione generale.

La soluzione economicamente più efficiente per avere un sistema sanitario universale è avere un gestore unico che assicuri tutti i cittadini che pagano un premio non determinato dalla loro salute. Volendo poi inserire considerazioni non solo di efficienza, ma anche di equità e di costituzionalità, tale premio dovrà essere determinato dal reddito secondo il principio di progressività. La somma di tutti i premi deve poter coprire tutti i costi. Per dirla in altri termini, in un sistema che si configura come un' assicurazione il principio di sussidiarietà non regge.

Ospedali e assicurazioni private devono poter agire, ma in modo addizionale. E non devono creare nessun onere per lo stato. Ovvero rimborsi ai privati come sostituto del pubblico NON deve essere possibile.

Se invecchiamo e ci vogliamo curare meglio dobbiamo spendere di più, non c'è altra soluzione. Si può certo risparmiare, migliorando i nostri stili di vita, introducendo tecnologie e farmaci migliori. Non certo avendo più privato.

Inoltre l' idea poi che una persona lavori di più perché deve pagare 100 euro in meno allo stato e 100 euro di più ad un assicuratore privato è davvero bislacca...

















Tuesday, September 25, 2012

Mankiw Reloaded


1. Le persone devono operare delle scelte

2. Il costo di una scelta è il suo costo opportunità

3. Si deve pensare al margine

4. Le persone reagiscono agli incentivi

5. Non possiamo produrre tutto da soli

6. Se c’è divisione del lavoro esiste anche lo scambio

7. A volte il libero mercato è modo più efficiente per lo scambio

8. Meccanismi di innovazione e selezione sono alla base della dinamica dei mercati

9. Il libero mercato è il risultato di un processo di regolamentazione, non di un principio naturale

10. L’ economia deve essere politica e la politica economica

Friday, May 18, 2012

se (e a chi) conviene offrire spazi pubblici per la creatività.

I recenti eventi a Milano di Macao e dell' occupazione della torre Galfa mi hanno fatto riflettere sull' importanza della creatività, sul ruolo delle risorse pubbliche da destinarsi e su come allocarle.

La creatività, definita pure nel mondo più ampio e blando possibile,  è uno dei motori dello sviluppo urbano. Lo è in primo luogo perchè da un' atmosfera urbana creativa possono nascere realtà industriali importanti. Per esempio, Milano non è diventata capitale del design da un giorno all' altro, ma dopo un processo storico che ha visto allearsi nel tempo piccoli imprenditori, artisti e soprattutto artigiani creativi in un vivace e caotico fermento. Da questo caotico processo sono nate grandi imprese di successo, grandi marchi della moda e del design industriale, ma non solo. Le esperienze che non hanno dato luogo a imprese stabili nel tempo hanno tuttavia svolto un ruolo cruciale. Infatti quest' ultime si possono vedere come i necesari  tentativi non riusciti di creare qualcosa di nuovo: la generazione del nuovo non è mai frutto di un processo deterministico, quanto il risultato di molteplici tentativi, la maggior parte dei quali rimane un' idea fallimentare. Per esempio Henry Ford ha avuto successo con la sua Ford T dopo averci provato con altri 20 modelli precedenti (A, B, C...).

Inoltre un' atmosfera creativa ha ricadute positvie sull' immagine della città: essa rende la città figa, favorisce ogni impresa che si sviluppa nell' area e che  può essere collegata all' idea che il mondo esterno ha della città. Ad esempio il successo planetario del Campari è intimamente legato a Milano come città creativa dai tempi delle campagne pubblicitarie disegnate dai gruppi del Futurismo, fino ai manifesti degli anni '60 disegnati da Bruno Munari, che era proprio un designer. La celebre bottiglia del Campari Soda è  di Depero, allievo di Balla.

Infine, l' atmosfera creativa aiuta ad attirare persone di talento in ogni campo. Ingegneri, banchieri, ricercatori, personale altamente qualificato sono piu predisposti a muoversi in città che offrono determinati stili di vita e consumo.

La creatività ha bisogno di spazio a basso costo. La creatività, da quella dell'artista a quella di un nuovo imprenditore ha bisogno di spazi per essere prodotta e per potersi manifestare agli altri. Non è un caso che la Berlino degli anni '90 sia diventata un immenso laboratorio culturale. I numerosi spazi dentro la città non ristrutturati e disponibili a basso costo sono stati occupati da numerose attività artistiche ed artigianali, che non avrebbero potuto aprire in nessun altro luogo. Si sa, i creativi, all' inizio della loro avventura, sono sempre squattrinati.

Ed invece a Milano c'è poco spazio e quello che c'è costa tanto. Se si vuole spazio bisogna garantire un rendimento per remunerare l' investimento e non ci si può quindi permettere il processo creativo di tentativi e fallimenti. Non ci si può permettere, in altre parole, di dare tempo alle idee di mettersi alla prova, fallire e migliorarsi.

L' esperienza creativa milanese, senza aiuti pubblici, è quindi destinata a morire vittima del costo dello spazio in una società gentrificata di ex-creativi. Il governo della città sembra desideroso di impegnarsi nel sostegno della creatività ed è un bene. Tuttavia si pongono numerosi problemi di allocazione di risorse.

Per esempio, la volontà di assegnare spazi al gruppo di Macao, ha sollevato mugugni. Ad alcuni infatti il gruppo macao sembra come la continuazione 2.0 dell' eterno movimento  68ino italiano, ovvero un gruppo di potere ben assestato, non certo un nuovo laboaratorio squattrinato bisognoso di spazi. A milano esistono molte altre realtà creative, magari meno organizzate. Per sempio nuovi imprenditori, artigiani creativi, movimenti di idee.

L' amministrazione ha l' arduo compito ora di trovare spazi e di assegnarli senza favorire nessuna realtà sulle altre e senza metterle l' una contro le altre. SOPRATTUTTO deve astenersi dal giudicare i progetti nel merito perchè il vecchio non può capire il nuovo. Ma sicuramente deve valutarne la serietà dei metodi e dell' impegno e pretendere che in qualche modo il lavoro dei creativi sia poi messo a disposzione della collettività.


Tuesday, May 15, 2012

Chi genera nuove idee?

Attento osservatore del nascente capitalismo mitteleuropeo, Josef Alois Schumpeter descrive nel libro "Teoria dello Sviluppo Economico" il ruolo dell' imprenditore. Schumpeter conosceva bene Nietzsche e la descrizione dell' imprenditore ricorda quella del Superuomo. L' imprenditore con la sua forza creativa riesce ad imporre il nuovo e sovrastare le forze inerziali esistenti che a questo si oppongono. Più avanti con l'età, rifugiatosi ad Harvard durante gli anni del nazismo, Schumpeter osserva il grande capitalismo oligopolista statunitense. Lì, secondo Schumpeter, sono i grandi investimenti nei laboratori di ricerca e sviluppo delle multinazionali che generano innovazione. Insomma l'innovazione da atto di potenza del singolo, non prevedibile, estemporaneo si trasforma in processo sociale statisticamente prevedibile e organizzabile.
Schumpeter ha individuato due meccanismi di generazione dell' innovazione. Il suo errore è stato di credere che fossero due momenti nel ciclo di sviluppo di un paese e che al primo seguisse sempre il secondo.
Oggi sappiamo  che entrambi sono necessari. Soprattutto la forza dirompente, fuori dagli schemi logici del pensare comune, può facilmente arrivare da piccole imprese e anche dal singolo imprenditore.

Ogni società che in vari modi vanifica, ostacola l' attività creativa del singolo rinuncia ad una importante fonte di rinnovamento. La società che aiuta , che designa spazi virtuali e fisici, che mette a disposizione risorse per la sperimentazione è lungimirante.

Ma questo vale solo per l' innovazione tecnologica o anche per le idee?

Mi sono immaginato i grandi  portatori e generatori di idee e di interessi come i  partiti, i sindacati, i gruppi di potere economico, sociale e politico. Dall' altra parte vedo  l'esperienza del singolo o di piccoli gruppi che a volte riescono ad imporre idee dirompenti.

Una società ha bisogno di entrambi gli attori. Ultimamente pare che i primi siano in crisi. Forse si potrebbe provare con più spazio ai secondi. Quindi, forse, se c'è un palazzone vuoto, meglio lasciarlo ad una nuova esperienza creativa...


oggi sono ortodosso

Se si è contro l' ortodossia bisogna anche condividere cosa dice l'ortodossia quando si è d'accordo.
 ed io oggi sono d'accordo con Boldrin. non capita spesso.
 Riporto l'articolo che si trova qui:
http://www.linkiesta.it/euro-germania-austerity-critiche#ixzz1uw9g6fXa

Ne approfitto anche per consigliare un'assidua lettura di linkiesta e, se vi paice, anche una donazione!

Basta criticare la Merkel, i tedeschi con l’euro ci hanno solo perso

Michele Boldrin

Dall’introduzione dell’euro, la Germania ci ha guadagnato ben poco, al contrario di quasi tutti gli altri Paesi. I quali, dalla metà degli anni ’90 sino al 2007, grazie all’ancora tedesca, videro abbassarsi rapidamente i tassi d’interesse reali sul loro debito. Ora si dà alla Merkel la colpa dell’austerity, ma è l’Italia che ha aumentato la spesa pubblica fino a bruciare l’indebito vantaggio che aveva.

Appartengo a quella sempre più sparuta minoranza che ritiene un gravissimo errore sia attribuire la responsabilità della crisi del debito sovrano europeo alla creazione dell’Euro, sia incolpare la politica economica tedesca per le situazioni di difficoltà in cui svariati paesi europei, quelli mediterranei in particolare, si son venuti a trovare negli ultimi anni. L’imbarazzante tarantolata collettiva in corso sulla stampa nazionale (alla quale questo giornale non ha purtroppo ritenuto opportuno sottrarsi) sembra voler esorcizzare il male, attribuendolo alla strega teutonica e ad una serie di patetiche balle storiche, invece di riconoscerne le cause endogene documentate da fatti e statistiche.

Mano a mano che la situazione economica si deteriorava e la serietà delle misure necessarie ad affrontarla diventava palese, all’eterna e monomaniacale campagna inglese contro l’Euro (non dovesse mai Frankfurt poter concorrere con la City of London) si sono aggiunti il lamento greco, l’invettiva italiana, la maledizione spagnola e lo scherno francese. È da un secolo che tutto il male, in Europa, viene da Berlino: perché mai dovrebbe questa essere un’eccezione? Non so se sia un’eccezione (anche perché dubito che la precedente sia una regola) ma so che i fatti suggeriscono che le responsabilità andrebbero distribuite con maggiore cautela.

L’Euro ha tanti genitori ma quelli originali non sono di certo tedeschi, quanto piuttosto francesi ed italiani. Dall’introduzione dell’Euro, per se, la Germania ci guadagnò ben poco mentre ci guadagnarono, dalla metà degli anni ’90 sino al 2007, gli altri paesi i quali, grazie all’ancora tedesca, videro abbassarsi rapidamente i tassi d’interesse reali sul loro debito. Per un paese come l’Italia questo “regalino tedesco” è stato equivalente a 4 o 5 punti di PIL all’anno per circa dodici anni: fa circa metà (esatto: METÀ) del nostro debito pubblico in essere! Se l’abbiamo sprecato aumentando la spesa primaria dobbiamo ringraziare solo noi stessi.

Sino al 2005 circa la Germania fa peggio della media e solo leggermente, ma proprio leggermente, meglio dell’Italia che è il fanalino di coda della zona Euro praticamente da vent’anni. È solo dopo che la coalizione Schroeder-Merkel addotta, sette anni fa circa, una serie di drastiche riforme strutturali che l’economia tedesca ricomincia a crescere, la disoccupazione a calare e l’export a tirare. Non c’entra dunque nulla l’Euro (che c’era di fatto da una decade) anche perché tutti insistono che sia sopravalutato ed una sua svalutazione altro non farebbe che rendere ancor più competitive Audi e BMW! C’entra il fatto che le riforme le han fatte invece di creare commissioni sulla spesa pubblica da cui nascono commissioni per la spending review che producono un commissario che chiede consigli su come tagliare la spesa pubblica … Ma non distraiamoci, continuiamo. Sino a circa la stessa data la bilancia commerciale fra, tanto per dire, Italia e Germania è in equilibrio o in attivo. Sì, proprio così: vendavamo di più noi a loro che loro a noi. Incredibile la differenza che qualche riforma strutturale può fare rispetto alle chiacchere patriottiche, vero? Andiamo avanti: cosa è successo dopo che i tedeschi hanno fatto i loro doveri? Beh, è successo che gli altri han continuato a non farli, questo è successo. È colpa di Angela Merkel se TreniItalia è l’orrore che è mentre DeutscheBahn no? Davvero han deciso i tedeschi di mettere Rodrigo Rato, un politicante incompetente, a gestire Bankia?

Ah, i fatti, i maledetti fatti. Molto meglio retorica come questa per vendere un po’ di mediterranea pseudo-cultura a fronte della fredda austerità teutonica. Cosa c’entra Weimar con la situazione greca se non perché, essendo quello di Weimar un fallimento tedesco, esso permette facili quanto inutili analogie? La Grecia non ha avuto l’appoggio della UE? Avete presente la quantità di soldi che gli elleni hanno ricevuto e come li hanno spesi? Che senso ha dire parole in libertà su temi che non si conoscono? In questo momento la Bundesbank è esposta per circa 700 miliardi di Euro con il resto del sistema creditizio europeo e sta finanziando da sola l’intero continente.

Da trent’anni il governo tedesco fa la parte dell’asino, al ritmo di quasi un punto percentuale del proprio PIL all’anno, nel finanziare i fondi strutturali ed agricoli europei (quelli di cui la Grecia ed il nostro Meridione han fatto scempio) mentre fa la parte del mulo, al ritmo di altri 300 miliardi di Euro, nel finanziare i vari fondi di stabilità creati dopo il 2009. L’austerità teutonica sara vuota, come sostiene un buontempone mediterraneo, ma riempie il salvadanaio che paga gli sprechi siciliani, le ruberie romane, le follie ateniesi e le sieste sevillane. In questo consisterebbero la leadership europea e la “supremazia della politica”? Un po’ come spiegare ad uno sugar-daddy che nel pagare a prestazione la meretrice sta l’essenza del grande seduttore …

Siamo all’orgia della malafede, ma siamo in ottima compagnia. L’ultima geniale idea di cui si discute sia al FMI che a Parigi è la seguente: i tedeschi dovrebbero, per decreto governativo, aumentarsi gli stipendi (ed i prezzi) di un 6% circa. In questa maniera aumenterebbe la domanda e tutti potremmo produrre di più, loro inclusi … Ah, vero: perché la domanda aumenti occorre aumentare solo i salari e non i prezzi, giusto. Ah, vero di nuovo: così facendo aumentano i costi delle aziende tedesche che inizieranno a fare perdite. Beh, meglio: qualche azienda tedesca chiuderà e qualche centinaia di migliaia di lavoratori tedeschi perderà il proprio lavoro ma, secondo i teorici di questa bestiale versione del modello superfisso, le perdite di competitività ed occupazione tedesca causeranno analoghi guadagni greci, spagnoli o italiani. Se non bastasse il 6% quest’anno chiederemo loro un altro 8% l’anno dopo: prima o poi anche la loro economia andrà in malora ed allora le nostre risorgeranno! Si chiama leadership continentale, altro che la vuota austerità secondo cui chi non lavora non mangia. L’ha detto Paul Krugman, che ha il Nobel, quindi dev’essere vero. Che anche Paul Krugman abbia fatto il classico?

Friday, May 4, 2012

Giavazzi e gli insider

La recente nomina di Giavazzi come tecnico del governo tecnico, mi ha fatto tornare in mente una lezione di tanti anni or sono di politica economica tenuta proprio dal Giavazzi. In vero fu una delle sue performance peggiori in quanto non si era preparato, ma questa è un' altra storia.

La storia è calzante per spiegare come l' economia dominante si spacci per scienza, come gli economisti si ritengano tecnici super partes, ma come in realtà non sia così.

Sostiene Giavazzi che una delle cause dell'alta disoccupazione è la presenza di un mercato del lavoro duale. Ovvero da una parte ci sono i lavoratori a tempo indeterminato (gli insider) con benefit e salari garantiti e dall' altra disoccupati o sotto-occupati (gli outsider). Gli insider, attraverso le organizzazioni sindacali, erigono barriere di difesa che  garantiscono loro l' impossibilità di essere licenziati senza giusta causa e di godere a vita di buoni salari. Gli outsider, che pur di lavorare sarebbero disposti ad accettare un salario più basso, non possono essere quindi assunti. Ma quindi il liberismo è di sinistra? Se rimuovissimo ogni barriera all' uscita, la competizione al ribasso sui salari tra i lavoratori permetterebbe alle imprese di pagare meno il lavoro, assumere le persone più produttive e quindi, meritevoli, potrebbero persino assumere di più e alla fine tutti  lavorarebbero guadagnando quanto si meritano e ponendo fine a questa lotta intestina che, data la disoccupazione giovanile, sta prendendo connotati di scontro generazionale.

Anni or sono, agli albori della società industriale, Carlo Marx osservava un mondo con un mercato del lavoro completamente flessibile. Anche in questo mondo esistevano i disoccupati, che Marx chiama esercito industriale di riserva e la cui funzione è quella di mantenere bassi i salari: la minaccia di una facile sostituzione del lavoro tiene a bada ogni tipo di rivendicazione. Le garanzie del lavoro degli occupati sono quindi una condizione necessaria del lavoro per poter avere del potere contrattuale. Sostiene - in verità osserva - Marx, che la disoccupazione è una caratteristica intrinseca del sistema capitalistico ed anche un sistema perfettamente flessibile ha il suo esercito industriale di riserva o outsider che dir si voglia.

Tralasciando una serie di altre considerazioni di Giavazzi che sono sacrosante: un imprenditore ha il diritto ad avere un lavoratore per un periodo di prova, anche lungo, prima di assumerlo a vita. Voi vi sposereste sulla base di un colloquio?  Chi colpevolemnte non lavora e lavora male deve poter essere licenziato. Voi non divorziereste dopo anni di matrimonio bianco? e tralasciando anche una serie di posizioni molto discutibili del  Marx politico come l' idea che il capitalista imprenditore sia  sempre lo sfruttatore.  In Italia, i piccoli imprenditori sono spessi eroi che vanno avanti nonostante tutto.

Tralasciando tutto questo, Giavazzi sbaglia. Più flessibilità non  aiuta i lavoratori in nessun modo. Una discussione tecnica si trova per esempio qui.  Più flessibilità aumenta la produttività perchè riduce i salari.Anche se nessuno ce lo dice il problema non è tecnico, ma politico. Marx lo ammetteva, Giavazzi no.

Infatti nella divisione dei profitti tra lavoro e capitale, più flessibilità significa meno soldi per il lavoro e più per il capitale.Se crediamo che in un momento di crisi sia giusto spostare più risorse sul capitale per permettere investimenti, aumentare la produttività, rilanciare la crescita e creare (in futuro e forse) più occupazione, facciamolo. Ma non raccontiamo la storia degli insider cattivi e degli outsider buoni!

 PS: entrambe le teorie sono macroeconomiche e non mi piacciono. Considerano il lavoro come un fattore di produzione. Da Penrose in avanti, alcuni economisti hanno iniziato a considerare i lavoratori come una risorsa. Non a caso Penrose era donna.




Thursday, May 3, 2012

L' alternanza delle idee

[post liberamente ispirato dalla discussione a pranzo con i colleghi]

Nei momenti di crisi si mischiano le carte in tavola, si dubita delle certezze assodate, c'è spazio per strade alternative. Anche quelle non necessariamente amate dalla teoria dominante. Ma a differenza delle altre scienze, in economia, una teoria non è dominante, se non lo è anche politicamente. Non è un caso che la teoria economica marginalista di Jevons, Walras e Menger abbia avuto successo per fornire argomenti scientifici ai detrattori del marxismo, che pure si poneva in modo scientifico. Non è un caso che la scuola economica neoliberista sia diventata dominante con Reagan e la Tachter e non certo per l' originalità delle idee, considerato che von Hayek il Nobel lo aveva già vinto nel 1974.

Un pensiero economico e politico dominante si instaura come risposta allo spirito del tempo, ai bisogni espressi dalla società dati i suoi equilibri, ma poi tende a perpetuarsi indipendentemente. Solo un'idea forte che risponde meglio al mutato spirito del tempo e si organizza in modo efficace può scalzarlo. Società anchilosate nei vecchi paradigmi non possono che decadere. In questo momento è chiaro che l' idea politica ed economica dominante non risponde più alle esigenze del tempo. Forse si intravede un' alternativa. Sicuramente il potere si appresta a difendere la cittadella.

I cardini del pensiero neoliberista di politica economica  in situazioni di crisi rifuggono sia dall'utilizzo della leva monetaria e sia da quella di aumento della spesa pubblica. La strada maestra da seguire è quella della politica deflazionistica e tagli alla spesa: in una parola l' austerity. L' austerity non è un concetto economico, ma uno filosofico e si riferisce alla necessità di cupi anni di recessione in cui purificare calvinisticamente l' anima e ritornare alla crescita. Ringraziamo  il popolo greco per averci mostrato sulla propria pelle con un esperimento naturale come in questa crisi l' austerity sia la soluzione sbagliata.

Tuttavia e per fortuna, in democrazia, gli spiriti irrazionali dei cittadini potrebbero rincorrrere qualche sincera e coraggiosa voce alternativa oppure anche le sirene del populismo demagogico e dei naziolismi. Per difendersi da entrambi, il potere dominante ha sottratto sia gli strumenti di politica monetaria che quelli di politica fiscale al controllo parlamentare. Attreverso l' euro, il controllo della base monetaria e dei tassi di interesse è in mano alla BCE. Da poche settimane il pareggio di bilancio è diventata legge costituzionale  e lega quindi le mani anche ai governi futuri.

Se da una parte la costituzione della moneta unica aveva ed ha fini nobili di traino delle istituzioni europee, non si capisce perchè una nazione dovrebbe autolimitarsi nella possibilità di produrre disavanzi di bilanci quando fosse possibile e necessario.O meglio non si capisce perchè questo legge sia stata votata quasi all' unanimità...

A questo governo  e a quelli futuri non rimane che la strada del taglio delle spese e delle liberalizzazioni. Storicamente in Italia di liberalizzazioni non se ne sono mai fatte. Einaudi sosteneva che è difficile rimuovere dei privilegi una volta che sono stati concessi. Rimane il taglio della spesa per lavori dipendenti, il taglio dei finanziamenti agli ospedali, all' università a tutte le produzioni di beni pubblici. Vuol dire taglio dei consumi e vuol buttarsi a capofitto nella spirale recessiva per i prossimi anni. Recessione non è una parola astratta. Essa significa disoccupazione, non arrivare a fine mese,  mettere al mondo meno figli, rimandare le cure e la prevenzione, rinunciare agli studi per portare soldi a casa, chiedere aiuto all' usura, essere più proni alle tentazioni della criminalità.

Spero di sbagliarmi, ma in un momento di crisi europea e sistemica, una recessione non potrà che essere lunga. Attrezziamoci e magari iniziamo a pensare a qualche alternativa...



Wednesday, April 25, 2012

Il riduzionismo psicologico e la mano invisibile di Adam

Si diceva che l' individa per la fisica, portò l'economista ottocentesco a mutuarne i metodi e, aihnoi, le basi epistemologiche. Mi piace citare questa frase di Pierre-Simon Laplace che scrive

“Possiamo considerare lo stato attuale dell'universo come l'effetto del suo passato e la causa del suo futuro. Un intelletto che ad un determinato istante dovesse conoscere tutte le forze che mettono in moto la natura, e tutte le posizioni di tutti gli oggetti di cui la natura è composta, se questo intelletto fosse inoltre sufficientemente ampio da sottoporre questi dati ad analisi, esso racchiuderebbe in un'unica formula i movimenti dei corpi più grandi dell'universo e quelli degli atomi più piccoli; per un tale intelletto nulla sarebbe incerto ed il futuro proprio come il passato sarebbe evidente davanti ai suoi occhi ” (Essai philosophique sur les probabilités, Laplace).

Questo modo deterministico di concepire il mondo, assorbito da una certa economia, ha causato una deriva di riduzionismo psicologico, sociologico, storico ed istituzionale. Infatti si è voluto modellizzare gli agenti economici come atomi ottocenteschi, dare loro semplici regole di interazione e studiare il sistema economico come risultato di queste azioni.

Come si muove l'atomo uomo nei modelli di riferimento ortodossi? l' atomo-uomo è perfettamente razionale e si muove massimizzando il proprio interesse e interagendo con gli altri uomini-atomo solo attraverso il meccanismo dei prezzi che si generano sul mercato. In altre parole nello studio dell' economia si decide di considerare come rilevante solo quella parte di uomo che agisce in modo razionale e massimizza la propria utilità. Penso che sia John Stuar Mill a utilizzare per primo l' espressione Homo Oeconomicus.

Nella costruzione di un modello interpretativo della realtà ogni riduzione è lecita se motivata e coerente con gli scopi che si propone. Per esempio, nel caso essa voglia spiegare un determinato fenomeno in modo positivo. Tuttavia nel momento in cui l'economia, in quanto politica, ha aspirazioni normative il discorso cambia perchè i modelli utilizzati portano anche a conseguenze politiche diverse.

Ammettiamo pure che la scienza economica sia molto variegata, che la stessa ortodossia nei secoli che la separano da John Stuart Mill si sia molto più raffinata rispetto alla descrizione fantoccio che ne ho appena fatto. Purtroppo però l' economia che viene insegnata nelle università alla futura classe dirigente o la vulgata che si legge sui giornali è rimasta molto indietro.

Il messaggio che più volte sento riportare viene di solito ammantato di nobiltà facendo riferimento ad Adam Smith, che nel suo libro "The Wealth of Nations" diceva:

"Non è dalla generosità del macellaio, del birrario o del fornaio che noi possiamo sperare di ottnere il nostro pranzo, ma dalla valutazione che essi fanno dei propri interessi"
Insomma ognuno segue il proprio interesse personale, ma come risultato il sistema garantisce a tutti un lauto pasto che possiamo permetterci con il lavoro eseguito a nostra volta. Qualcuno parla anche di "mano invisibile" ad indicare la natura quasi divina di questo processo per cui il nostro egoismo porta al bene comune.

Ora tutto questo non è vero: non è vero che succede questo e non è vero che così la pensava Adam Smith. Adam Smith usa invero l' espressione mano invisbile, ma per la prima volta in un altro libro "La teoria dei sentimenti morali". In questo libro Adam Smith descrive l' empatia che ci lega agli umani per il solo fatto che siano umani. Questa parte dell'uomo non si può escludere da un discorso di economia politica perchè ne è parte integrante.

Essa è alla base di ormai centinaia di attività economiche che non massimizzano SOLO l' utilità degli individui ma il bene sociale. Pensiamo alla banca etica, all' attenzione per l' ambiente, all' associazionismo di ogni genere e colore, al movimento open source. Si può mostrare come il modello standard non sia in grado di inglobare queste realtà e come non necessariamente (anzi) esse portino ad una riduzione del benessere economico.


Forse agli studenti del primo anno di economia e scienze politiche dovremmo iniziare ad insegnare anche questo...




ps: intanto consiglio un libro qui in edizione ebook.

Tuesday, April 17, 2012

Gli economisti e la crisi

Nel bene e nel male non si è mai parlato tanto di economisti e fatto parlare gli economisti come negli ultimi anni. C'è chi "gli econoministi hanno causato la crisi", c'è chi "gli economisti non hanno previsto la crisi", c'è chi "gli economisti ci salveranno dalla crisi". Mi preoccupano poi i ricorsi ad una terminologia medica su "bilanci da risanare", "crisi da curare", "diagnosi e cure" o a fantascientfici risvolti di simulazioni predittive del futuro.

Urge ricordare a tutti e soprattutto agli economisti che l' economia è una scienza sociale. Anzi torniamo a chiamarla con il suo nome ovvero Economia Politica. L' economia nasce come l' arte di far di conto per mandare avanti una famiglia o un' impresa. Quando questa famiglia divenne nei lunghi percorsi storici la famiglia reale che possedeva uno stato, l' economia divenne politica.
Così l' economia politica si occupa di come far tirare avanti la nostra grande famiglia-stato decidendo cosa comperare, come investire sui figli, come mantenere i nonni, se fare un investimento, se prendere a prestito o risparmiare per i periodi più difficili.

Ovviamente il livello di complessità è molto maggiore perchè ci sono svariati individui con interessi e visioni del mondo che devono coesistere, c'è una competezione interna ed una esterna degli altri stati, manca spesso un senso di reciprocità come in un nucleo familiare, esistono imprevisti e improvvisi shock esogeni a cui fare fronte.

Si dice che Max Planck prima di occuparsi di Fisica, si fosse appassionato di economia politica. Una passione però, a suo dire, durata poca a causa della sua eccessiva complessità.

Storicamente, la complessità dell' economia è stata riconosciuta ed i primi economisti da Adam Smith a Carlo Marx, furono filosofi a tutti tondo. Nei loro scritti, il rigore dei numeri è sempre affiancato da considerazioni di natura storica, giuridica, istituzionale, psicologica.

A fine Ottocento, l' invidia positivista degli economisti per le altre scienze diede l' illusione di poter affrontare in altro modo la complessità dei sistemi economici. Jevons per primo suggerì di abbandonare la dicitura Political Economy per descrivere questa scienza e passare ad più scientifico Economics per farla assomigliare di più a mathemathics o phisics. E la scienza economica, dalla matematica e dalla fisica meccanica, ne mutuò anche gli strumenti. Ne nacque una scienza dove la modellistica analitica sostituì la filosofia nell' interpretazione dei dati.

Il cambiamento non fu certo o solo negativo. La forza del linguaggio analitico è dirompente. Esso è un potente mezzo di ragionamento con cui si chiarificano i concetti, si studiano in modo logico le relazioni, si evitano fallacie di ogni genere. L' errore fu (è) quello di dimenticarsi in buona o cattiva fede che ogni modello è basato su ipotesi di lavoro diverse che necessariamente portano a risultati diversi.

Attualmente si scotrano due scuole quella keynesiana e quella ortodossa (mainstream). I keynesiani sostengno che non si debba ridurre la spesa pubblica, perchè spesa pubblica vuol dire domanda per le imprese che possono così prosperare e creare redditi per imprenditori ed operai che a loro volta spenderanno di più. A questo dovrebbe accompagnarsi un allargamento della base monetaria per generare inflazione e creare occupazione (per approndire si googoli "curva di phillips").

Gli ortodossi o mainstream ritengono invece che bisogna tagliare le spese ed abbassare le tasse, in modo da liberare risorse per gli investimenti privati. L' inflazione deve rimanere bassa perchè garantisce stabilità al sistema e nel lungo periodo non crea sicuramente occupazione.

Alcuni dei primi sostengono anche un' uscita dall' euro per riequilibrare il valore dei prodotti di stati diversi. Così facendo, dicono gli altri, dovrebbero però anche introdurre restrizioni al libero mercato. E le econonomie, dicono, prosperano nel libero scambio.

Insomma i medici non sono d'accordo sulla cura.

Il fatto è che hanno tutti ragione. Sulla base di un modello keynesiano la spesa pubblica genera più spesa privata. Sulla base del modello standard la moneta nel lungo periodo non ha effetto sull'occupazione.

Il fatto è che hanno torto tutti, perchè conosiderano la complessità modellabile da equazioni matematiche che generano previsioni. L' economia non è la psicostoriografia di Haari Seldon:
"La psicostoriografia era la quintessenza della sociologia; era la scienza del comportamento umano ridotto ad equazioni matematiche" (I. Asimov)

In verità l' economia deve ritornare ad essere una scienza del ragionamento pragmatico, che si basa tuttavia su una sopraffina analisi statistica di grandi moli di dati. I modelli servono eccome! ma non da brandire come una bibbia, ma per essere confrontati tra di loro.

A me piace leggere Einaudi e Schumpeter, ma non vanno più di moda!

a bien tot

Friday, April 13, 2012

Loretta Napoleoni ed i perfidi tedeschi

Ieri sera al Circolo dei Lettori ho partecipato ad una bella serata torinese.

Loretta Napoleoni ha raccontato ad un etereogeneo gruppo quali sono secondo lei i motivi della crisi ed ha offerto una visione per uscirne.

La ragione principale della crisi del capitalismo occidentale è, secondo la Napoleoni, da ricercarsi nella fine dei vantaggi europei nello sfruttamento delle materie prime in chiave (neo)colonialista, un riequilibrarsi quindi del potere economico a livello mondiale. Il suo è stato uno sviluppo più o meno inconsapevole della teoria centro-periferia. Si chiama dependecy theory, risale agli anni 70 e descrive in chiave strutturalista i rapporti di forza di un centro ricco, che vive sfruttando le risorse di una periferia povera. è sicuramente una parte della storia, se sia la più importante non lo so. e non credo, ma questo sarà magari argomento di un altro post.

Dove non sono tuttavia d'accordo è l' utilizzo dello stesso modello per descrivere i rapporti di forza all' interno dell' Europa dove i paese del nord (ma lei parlava solo di Germania) sono il centro ricco che sfrutta le fasce periferiche. Il discorso non è nuovo ed in voga nella sinistra radical chic (della quale io faccio parte a corrente alternata). C'è anche chi su questa teoria ci ha creato un Blog.

Il meccanismo sarebbe il seguente. L' ingresso nell' Euro ha garantito alla Germania l' utilizzo di una moneta più debole rispetto al marco rendondo l' economia teutonica più competitiva nel mondo e soprattutto in Europa. Contemporaneamente l' euro ha permesso ai peasi periferici di indebitarsi a bassi tassi di interesse per comperare i più competitivi prodotti tedeschi. Contemporanemente il non più competitivo settore manufatturiero della periferia chiudeva baracca e burattini (In Grecia esiste più). A questo si aggiunge, dicono alcuni, ma non la Napoleoni, che i perfidi capitalisti tedeschi avrebbero tagliato i salari per aumentare la produttività e dato incentivi all'economia aggirando le restrizioni dell' antitrust europeo. Secondo le stesse persone, l' uscita dall' euro ed il ricorso a svalutazioni competitive salverebbe il (poco)salvabile.

L' analisi è in parte corretta. Infatti è vero che: la produttività media del lavoro in Germania cresce da 30 anni più di quella italiana, negli anni 2000 il settore manufatturiero tedesco ha avuto crescita di salari contenuti, noi ci siamo indebitati, la germania ha migliorato la bilancia commerciale, noi l' abbiamo peggiorata.


Tuttavia abbandonando il mondo meccanicista-strutturalista della macro-economia possiamo vedere più cose. Soprattutto non possiamo vedere nessuna imposizione (neo)colonialista dei rapposrti di forza. Cosa è successo veramente? ecco una spiegazione alternativa basata sulle scelte di investimento.

La produttività aumenta di più se il costo del lavoro crese di meno o se migliora la tecnologia, le infrastrutture, le condizioni istituzionali in cui operano le imprese.

Dalla svalutazione del 1992 al 2002 in Italia la crescita della produttività è rimasta al palo, maggiore solo di quello della slovacchia nei paesi OECD. e non certo per un aumento dei salari. Ilproblema è che non si è investito in R&S: soprattutto di fianco allo storico deficit di R&S pubblico, le imprese private non hanno reinvestito i profitti in investimenti innovativi. Infrastrutture? condizioni istituzionali? zero assoluto. mentre i perfidi tedeschi in quegli anni investivano per migliorarsi noi che facevamo?

L' ingresso nell' Euro non ha migliorato la situazione. Ormai tranquilli di essere al coperto da tempeste valutarie abbiamo continuato ad indebitarci cullati in un' illusione televisiva di ottimismo. Nel frattempo in Germania, il governo schroeder ha implementato l' AGENDA 2010, ovvero un piano strategico di sviluppo di orizzonte pluriennale che ha garantito bassa crescita dei salari in cambio di tagli non eccessivi del welfare, reinvestimenti in capitale umano e ricerca sviluppo, incentivi alle imprese innovative soprattutto in alcuni settori strategici come le energie rinnovabili. Ora aldila' del giudizio politico che si vuole dare, agenda 2010 è stato un momento di riflessione, visione ed azione. Ed ha portato i suoi frutti. Non si possono accusare i tedeschi di essere perfidi perchè hanno fatto quello che avremmo dovuto fare noi. ed ora gridiamo alla mancata collobarazione tra nazioni europee.

All' interrno di un sistema competitivo istituzionale e leale, non si può dare la colpa agli altri, quando si è fatto poco noi. All' Italia manca una visione di politica economica ed industriale a causa della pluridecennale empasse politica. In tempi difficili che richiedono riflessione, visione ed azione, questo è il problema maggiore.