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Tuesday, April 17, 2012

Gli economisti e la crisi

Nel bene e nel male non si è mai parlato tanto di economisti e fatto parlare gli economisti come negli ultimi anni. C'è chi "gli econoministi hanno causato la crisi", c'è chi "gli economisti non hanno previsto la crisi", c'è chi "gli economisti ci salveranno dalla crisi". Mi preoccupano poi i ricorsi ad una terminologia medica su "bilanci da risanare", "crisi da curare", "diagnosi e cure" o a fantascientfici risvolti di simulazioni predittive del futuro.

Urge ricordare a tutti e soprattutto agli economisti che l' economia è una scienza sociale. Anzi torniamo a chiamarla con il suo nome ovvero Economia Politica. L' economia nasce come l' arte di far di conto per mandare avanti una famiglia o un' impresa. Quando questa famiglia divenne nei lunghi percorsi storici la famiglia reale che possedeva uno stato, l' economia divenne politica.
Così l' economia politica si occupa di come far tirare avanti la nostra grande famiglia-stato decidendo cosa comperare, come investire sui figli, come mantenere i nonni, se fare un investimento, se prendere a prestito o risparmiare per i periodi più difficili.

Ovviamente il livello di complessità è molto maggiore perchè ci sono svariati individui con interessi e visioni del mondo che devono coesistere, c'è una competezione interna ed una esterna degli altri stati, manca spesso un senso di reciprocità come in un nucleo familiare, esistono imprevisti e improvvisi shock esogeni a cui fare fronte.

Si dice che Max Planck prima di occuparsi di Fisica, si fosse appassionato di economia politica. Una passione però, a suo dire, durata poca a causa della sua eccessiva complessità.

Storicamente, la complessità dell' economia è stata riconosciuta ed i primi economisti da Adam Smith a Carlo Marx, furono filosofi a tutti tondo. Nei loro scritti, il rigore dei numeri è sempre affiancato da considerazioni di natura storica, giuridica, istituzionale, psicologica.

A fine Ottocento, l' invidia positivista degli economisti per le altre scienze diede l' illusione di poter affrontare in altro modo la complessità dei sistemi economici. Jevons per primo suggerì di abbandonare la dicitura Political Economy per descrivere questa scienza e passare ad più scientifico Economics per farla assomigliare di più a mathemathics o phisics. E la scienza economica, dalla matematica e dalla fisica meccanica, ne mutuò anche gli strumenti. Ne nacque una scienza dove la modellistica analitica sostituì la filosofia nell' interpretazione dei dati.

Il cambiamento non fu certo o solo negativo. La forza del linguaggio analitico è dirompente. Esso è un potente mezzo di ragionamento con cui si chiarificano i concetti, si studiano in modo logico le relazioni, si evitano fallacie di ogni genere. L' errore fu (è) quello di dimenticarsi in buona o cattiva fede che ogni modello è basato su ipotesi di lavoro diverse che necessariamente portano a risultati diversi.

Attualmente si scotrano due scuole quella keynesiana e quella ortodossa (mainstream). I keynesiani sostengno che non si debba ridurre la spesa pubblica, perchè spesa pubblica vuol dire domanda per le imprese che possono così prosperare e creare redditi per imprenditori ed operai che a loro volta spenderanno di più. A questo dovrebbe accompagnarsi un allargamento della base monetaria per generare inflazione e creare occupazione (per approndire si googoli "curva di phillips").

Gli ortodossi o mainstream ritengono invece che bisogna tagliare le spese ed abbassare le tasse, in modo da liberare risorse per gli investimenti privati. L' inflazione deve rimanere bassa perchè garantisce stabilità al sistema e nel lungo periodo non crea sicuramente occupazione.

Alcuni dei primi sostengono anche un' uscita dall' euro per riequilibrare il valore dei prodotti di stati diversi. Così facendo, dicono gli altri, dovrebbero però anche introdurre restrizioni al libero mercato. E le econonomie, dicono, prosperano nel libero scambio.

Insomma i medici non sono d'accordo sulla cura.

Il fatto è che hanno tutti ragione. Sulla base di un modello keynesiano la spesa pubblica genera più spesa privata. Sulla base del modello standard la moneta nel lungo periodo non ha effetto sull'occupazione.

Il fatto è che hanno torto tutti, perchè conosiderano la complessità modellabile da equazioni matematiche che generano previsioni. L' economia non è la psicostoriografia di Haari Seldon:
"La psicostoriografia era la quintessenza della sociologia; era la scienza del comportamento umano ridotto ad equazioni matematiche" (I. Asimov)

In verità l' economia deve ritornare ad essere una scienza del ragionamento pragmatico, che si basa tuttavia su una sopraffina analisi statistica di grandi moli di dati. I modelli servono eccome! ma non da brandire come una bibbia, ma per essere confrontati tra di loro.

A me piace leggere Einaudi e Schumpeter, ma non vanno più di moda!

a bien tot

4 comments:

  1. Molto interessante. L'impossibilità di essere scienza pura e perfettamente modellabile penso sia un problema comune ad altre discipline. Come il software engineering che alla fine deve fare i conti con il fattore umano, con l'organizzazione dei team di sviluppo e quei fattori finiscono per contare molto di più di quegli altri, quelli che riusciamo a misurare e ci farebbe comodo fossero gli unici significativi.

    Auguri per il blog!

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  2. certo! io penso che nulla della realtà sia perfettamente modellabile. Modellare vuol dire scegliere di cosa tenere conto e come. Il momento di scelta deve essere consapevole!

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  3. Ciao Marco, innanzitutto un saluto, e spero che le cose a te vadano nel modo migliore. Molto interessante questo tuo approccio, direi filosofico, ma nel senso kantiano della consapevolezza dei limiti della ragione umana e delle sue capacità conoscitive, al problema della scienza (in questo caso economica). In effetti, il punto critico e problematico nel rapporto tra ciò che gli uomini si attendono dalle scienze, e ciò che queste possono realisticamente offrire, sta " a monte". Gli atteggiamenti che l' "uomo della strada" (e questa espressione non suoni come un insulto, c'è un uomo della strada in ognuno di noi, anche in chi si occupa di scienza e di filosofia!!) è per lo più solito tenere davanti alle scienze sono due. Il primo atteggiamento, se è lecito definirlo tale, consiste nella semplice, schietta ignoranza, non solo del concetto della scienza, ma anche di ciò che significa fare scienza, e su questo punto non credo ci sia quindi bisogno di insistere, potendosi ovviare a questa sciagura soltanto con il miglioramento di tutto quanto il sistema formativo. Il secondo atteggiamento consiste invece nel riporre una sorta di fede illimitata e acritica nel "potere" della scienza (assunta al singolare, come un blocco monolitico, senza tener minimamente in considerazione quella complessità del discorso scientifico che anche tu richiamavi), insomma una specie di positivismo ingenuo e fideistico. Alla base di questo secondo atteggiamento, che non è soltanto rozzamente positivistico, ma che è anche schiettamente metafisico, io penso vi sia quella che Kant chiamava la "metafisica naturalis" della ragione umana, insomma il bisogno "istintivo", e quindi la ricerca, della risposta assoluta, totale, ultima. Ecco, in questo senso a me sembra che la scienza, meglio, una certa erronea interpretazione della scienza, sia oggi diventata la nuova metafisica naturalis dei tempi moderni, che tutto dovrebbe sapere e tutto dovrebbe curare. Ma quello che non si considera è che, sempre seguendo la lezione kantiana, l'idea di totalità e di assolutezza è appunto un "idea", non un concetto, e non ha quindi un correlato oggettivo nella realtà, un oggetto dato in essa che le corrisponda. "Nulla nella realtà è perfettamente modellabile", per usare le tue parole, Marco (e tu sai che "idea" in greco significa proprio modello, "forma" ), perché la conoscenza, sempre con Kant, consiste soltanto nel "regresso empirico" di causa in causa, che come tale non può essere definito a priori, ma che può essere soltanto eseguito di volta in volta, a posteriori. La conoscenza (e la realtà conosciuta) è sempre materia grezza, non perfetta, non ( o almeno non perfettamente) modellabile. Che poi questo discorso, ispirato dalla lezione kantiana, già soltanto per escluderlo, richiami in se stesso (contraddittoriamente ?) l'assoluto e l'incondizionato (sia pur inteso come bisogno, ricerca dell'idea dell'incondizionato), è vero, e costituisce un problema, ma si tratta secondo me di un problema che non si risolve né sul piano della scienza (che fa quel che deve, conosce la realtà, e i suoi "oggetti"), né su quello della religione (anzi, meno che mai su quest'ultimo piano), ma, forse, perché non è detto che ciò sia possibile, sul piano di un particolare tipo di riflessione filosofica intesa come ontologia o filosofia speculativa. Ma, certo, con questa considerazione mi rendo conto di aver già ampiamente oltrepassato la tematica, e anche lo spirito del tuo post. Quindi mi taccio. E ti saluto ancora una volta. Ciao !!

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  4. si' e' vero, ma gli economisti non conoscono Kant, dichiarano di essere postivisti, ma non lo sono, la competizione tra le idee avviene nell'agone delle scuole di pensiero e del potere.
    ciao anche a te!

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